Primo Maggio di San Giovanni in diretta da casa mia (parte quarta)

Va molto meglio.

La versione di Dolcenera con l’orchestra sinfonica cantata da Neri Marcorè ha il suo perchè, soprattutto dice molto delle capacità dello stesso Marcorè, che ha una personalità televisiva completa, capace di intrattenere su più fronti. La TV è intrattenimento per un buon settanta per cento, no? La cover è resa bene, a parte per le coriste.

Poi arriva un altro combattente che piace molto alla sinistra de noantri in cerca di facce che sappiano cantare e prestare ritornelli godibili per le feste di popolo: Daniele Silvestri. Partito bene, proprio in questo momento si è buttato su un tempo ska-rocksteady che potrebbe farmi cambiare subito canale.

Salirò fino a quando sarò solamente un ricordo lontano. Ecco.

I Subsonica vestiti come le Iene e io non lo sapevo. Vanno via così. Sono bravi, ok. Istrice la fanno molto bene. Ma voglio ricordarmi di quella volta che lavoravamo al Mamamia a Senigallia come facchini-montapalchi e durante un concerto del tour di Microchip Emozionale il mio amico G.M. si addormentò di fianco al palco, stremato dalla stanchezza e dal fatto che di restare sveglio durante un concerto dei Subsonica non poteva fregargliene niente. Ecco: ogni volta che ci sono i Subsonica nell’aria io non posso fare a meno di ricordarmi di quell’episodio. Durante la pausa fra primo e secondo set gli stessi musicisti erano increduli: non avrebbero mai immaginato di poter trovare un tipo che se la dormiva della grossa sopra i loro case mentre sul palco andava questa musica adrenalinica. Ci ridevano su. Loro si sbattevano, e a cinque metri dal proscenio un tipo che aveva steso i cavi e sollevato le casse e sistemato gli strumenti dormiva stravaccato sulle custodie, fregandosene della band, del concerto, del tour promozionale. Tutto questo mi è rimasto in memoria e non posso farci niente.

C’è Morricone, il maestro Ennio Morricone, che fa la prima assoluta di una composizione chiamata Elegia Per L’Italia. Sentiamo.

In altri ambienti musicali si direbbe cut-up. Morricone ha fatto un cut-up fra l’Inno di Mameli, il Va’ Pensiero e un canto popolare non meglio identificato dal sottoscritto, alternando le liriche alle partiture, inserendoci la lettura ad effetto di un testo davvero potente, e rimescolando il tutto. Ma parlo da profano: non posso approfondire una cosa come questa, c’è un’orchestra sterminata e un coro di sessanta elementi diretti da Morricone – non è roba per me. L’effetto è bellissimo: l’opera è potente, epica, suggestiva. Per la prima volta riesco davvero ad avvertire un senso per questi benedetti centocinquat’anni dell’unità d’Italia con cui ci stanno martellando la testa da tre mesi a questa parte. E questo senso non può essere circoscritto con le poche parole che potrei scrivere quassù.

La folla intanto grida Caparezza Caparezza. La folla intanto grida Caparezza Caparezza. La folla intanto grida Caparezza Caparezza. La folla intanto grida Caparezza Caparezza. La folla intanto grida Caparezza Caparezza. La folla intanto grida Caparezza Caparezza. Dove sono i cecchini?

Bene: dopo Gino Paoli alla morfina, Caparezza fa il suo show che fa saltare la folla, evidentemente soddisfatta. Lui è bravo, Caparezza, ma rimane il fatto che non succederà mai che io decida consapevolmente di ascoltarmene un pezzo, anche se sono consapevole della fattura dei testi, della verve ironica e dissacrante, dei giochetti che sa fare sul palco, del crossover che mette sul piatto del giradischi.

Ecco De Gregori e Dalla. Guardateveli. Non ci sarà bisogno di commenti, credo, e ad ogni modo questo gioco mi ha stufato e la mia cronaca del concerto di San Giovanni finisce qui. Forse.

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