Strano, ma bello. Coincidenza o quello che è. Poco importa.
Ieri sera a casa ascoltavo Bill Callahan, ci sono andato praticamente in fissa pesante in quest’ultimo periodo, e lo commentavo insieme a un amico, ritenendo giusto l’ascolto del suddetto Bill Callahan in compagnia di una persona (l’amico suddetto) alle prese con un progetto musicale che amichevolmente chiamiamo “svolta cantautorale”. L’idea di base era semplicissima e banale quanto basta: non c’è svolta cantautorale che tenga se prima non ti ascolti Bill Callahan. L’amico l’ho convinto.
In una libreria di San Lorenzo, davanti a un Fernet con ghiaccio, mezz’ora dopo. Con altri, sempre a parlare di Bill Callahan, oltre che di Josh T. Pearson e Wooden Wand. La frase che sintetizza tutto: “Bill Callahan è il De Andrè nordamericano.” Ci sto, sottoscrivo. (Ma quanti discorsi si potrebbero fare se solo potessimo passare le giornate ad organizzarli, i discorsi.)
Poco fa su twitter mi imbatto in una live session di Callahan su Daytrotter.
Buon ascolto. Vado.